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Don Giuseppe BoselliPerché questo libro

Morire a 35 anni: oggi come ieri sembra incredibile, inaccettabile...Solo gli anni a volte leniscono il dolore, ma soprattutto aiutano a capire la logica della Provvidenza, un disegno che va oltre i calcoli dell'uomo. È quanto è accaduto nella vicenda umana di Giuseppe Boselli, nato nel 1922, parroco di Aglio e morto nel 1957 in seguito a un incidente d'auto il giorno della prima messa del fratello don Giovanni. Don Giuseppe ancora oggi parla a tutti per la sua grande generosità e la fede genuina cresciuta nella sua famiglia a Filippazzi di Perino. Ma parla anche dal santuario delle vittime della strada, guidato dal fratello don Giovanni, e dalla cappella di Filippazzi, il paese natale, dedicata alla Madonna di Fatima.

La Salma di Don Giuseppe al Pilastro

I fratelli sacerdoti ritornano a vivere Insieme. Erano vicini allora, nel giorno della tragedia; la vigilia del Corpus Domini. Don Giovanni si preparava a salire l'altare della prima Messa e don Giuseppe consumava il sacrificio della sua vita sull'altare del suo corpo. Fu, quella di don Giovanni, una prima Messa segnata dal sangue e dalle lacrime. Ora i fratelli si fanno di nuovo vicini. Don Giuseppe la vittima della strada e don Giovanni il parroco del santuario delle vittime della strada. Don Giuseppe nella pace del sepolcro, don Giovanni sul fronte del lavoro pastorale. Don Giuseppe nella casa del Padre, don Giovanni a guidare i vivi verso la casa del Padre. Don Giuseppe oltre la storia, al di là del tunnel della morte, don Giovanni ancora tra le pieghe della storia, al di quà del tunnel della morte. " Quanto è buono a soave che I fratelli vivano Insieme " (S. 1 32 1). Situazioni diverse quelle di Don Giuseppe e di Don Giovanni, ma occasioni per una significativa vicinanza di anime e per un efficace dialogo orante. La morte, in fatto di rapporti d'amore, non può distruggere nulla. Don Giovanni non dovrà dimenticare che il suo sacerdozio affonda le radici nel sacrificio del fratello. È di lì che dovrà partire, se vuole valutare la fecondità e il senso del proprio sacerdozio. " Chi perde la propria vita per me e per il Vangelo la ritrova " (Me. 8, 35). Veramente "geloso" (Es. 20, 5) il nostro Dio. Vuole tutto. Vuole la borsa e vuole la vita. Se ti metti a giocare con Lui e accetti la regola del gioco, sta certo, sarà Lui a vincere. E vincerà sempre. Qualcuno ti prenderà e "ti porterà dove tu non vuoi" (Gv. 21, 18). Don Giuseppe le regole del gioco le conosceva. Le aveva accettate. Si era dato a Dio senza sottintesi. C'era da aspettare l'ora di Dio, il Signore che viene. E non venne, il Signore, nel mezzo della notte. Venne nel pieno pomeriggio. In un giorno pieno di sole. In una stagione piena di luce. Anche la stagione della sua vita era piena di sole. Trentacinque anni. Il Signore venne e gli prese tutto. La borsa e la vita. In un banale incidente d'auto.
Non chiedermi perché? La morte è sempre un mistero...Soprattutto a 35 anni, lo non vedo, tu non capisci, ma tutti crediamo. Sappiamo che, da Cristo in poi, il morire è ordinato al vivere...Perdere è ritrovare...E sappiamo che il sacerdozio si esprime pienamente nel sacrificio. Più ti immoli, più sarai autentico e più sarai credibile nel tuo sacerdozio.
Morì con la veste talare. L'aveva predetto. "Mamma!" disse alla sua vestizione "con quest' abito morirò". Era così contento di essere vestito da prete...La gioia di essere preti si esprime anche nell'abito. L'abito può essere il segno di ciò che si ha. E dice poco dell'uomo, che lo porta. Ma può essere anche il segno di ciò che si è. In questo caso è l'indice, che ti misura come persona.
L'uomo ha bisogno di segni, distratto com'è, unidirezionale com'è, laico com'è...I segni. I segni dell'invisibile...Il segno della Croce...I segni del Dio vivo.
Non mitizziamo l'abito. Non facciamone l'equazione del prete serio e santo. L'abito non fa' il monaco. Ma nemmeno snobbiamolo. L'abito è sempre il segno del monaco. È così forte, agli angoli delle strade, la domanda di segni gioiosi dell'Assoluto...La talare è uno di questi. E' il segno del sacerdozio, cercato con amore e vissuto con gioia.
"Non troviamo più i ministri della perfetta letizia». E' il rimprovero che ci fa l'uomo moderno. Non so dire se ce lo meritiamo. So che siamo pieni di problemi. Siamo in continua tensione. Non abbiamo mai tempo. Non abbiamo più tempo.
Ci manca la semplicità del Vangelo. E con la semplicità la gioia dell'uomo delle beatitudini. La semplicità della colomba (Mt. 10, 16). La semplicità sinonimo di verità (Tertulliano). La saggia semplicità (S. Ilario). La vera ancella del Signore (S. Girolamo).
Don Giuseppe fu un uomo semplice. Un prete evangelicamente semplice. "Mani innocenti e cuore puro" (S 23, 4). Mani pulite. Mente senza doppiezza. Cuore senza malizia. Anima luminosa. Personalità trasparente. Nessuna ambizione di farsi grande. Nessuna dispersione nelle pieghe della furbizia mondana. " La semplicità del cuore è come una bella giornata, che la frode non copre di nuvolo, che l'inganno non offusca, che la menzogna non ottenebra, che la gelosia non oscura, che la luce della verità illumina, che la chiarezza della presenza divina rischiara " (S. Gregorio Magno). Morì con Lire 1.500 in tasca. Era il suo denaro. Tutto il suo patrimonio. Non aveva altro. Non aveva voluto avere altro. Alla beatitudine del possedere aveva preferito quella del donare. "Vi e più gioia nel dare che nel ricevere" (At. Ap. 20, 35). Era lo stile di vita dell'uomo. Grande nell'amare e grande nel donare. Quello, che arrivava in canonica, finiva nelle case della povera gente... Nella logica d'amare di don Giuseppe, per festeggiare il fratello sacerdote, non era necessario avere la camicia nuova...Ai poveri, si, bisognava pensare subito...Cuore grande e cuore forte...Da seminarista seppe sfidare le raffiche dei mitra e delle mitraglie, per soccorrere un partigiano colpito a morte dai tedeschi...Ancora da studente raccolse un'intera fornata di pane, che la mamma aveva fatto cuocere in giornata e all'insaputa di tutti, di notte, la portò in un sacco ai venticinque partigiani, nascosti in una grotta. Si muovono così gli uomini, che vogliono amare l'uomo. Sono grandi, sono forti, sono imprevedibili, sono tempestivi, sono aperti alle intuizioni dell'amore.
"La Chiesa è Madre e ha bisogno di una Madre" (Redemptor Hominis) Don Giuseppe, che si sentiva parte viva di una Chiesa viva, non poteva non contrassegnare la sua spiritualità della dimensione mariana. Più che devoto di Maria volle essere il figlio consacrato alla Madre. Lo schiavo d'amore di Cristo nelle mani di Maria...Una forma di spiritualità, che nel pensiero del Montfort, è il segno della donazione totale dell'uomo a Dio. Adesso puoi capire il mistero della sua morte. Un uomo, come don Giuseppe, che a Cristo si era dato tutto per mezzo di Maria, poteva anche morire a trentacinque anni in una giornata piena di sole.

A cura di Don Giuseppe Boiardi